Ve lo dico subito. Quando mi hanno chiesto di scrivere questa prefazione ho riso. Io dovrei parlare di cellulite? IO? Proprio io che sono un caso su un milione di femmina che ne è priva? Non mi attirerò l’odio di tutte le donne che lo leggeranno? Probabilmente. È per questo che ho deciso di approfittare di questa occasione e mettermi a nudo. In tutti i sensi. Ma facciamo un passo indietro. Quando a 14 anni mi è arrivato il ciclo ho pianto di gioia. Seriamente. Quando in mezzo al disegno delle mongolfiere sbiadite sulle mutande ho visto quelle macchioline, ho alzato gli occhi al cielo e ho gridato “Grazie!”. Ed era un grazie sincero, perché a 14 anni, raggiunto il metro e 74 di altezza e il 41 di piede, quell’evento segnava la fine della crescita e finalmente l’ingresso nel mondo delle donne. A 14 anni. Alla Marta addirittura, era arrivato a 9. In 4^ elementare. È stata la prima, la nostra pioniera delle mestruazioni e credo che sia stato il suo modo di presentarcele ad aver segnato la nostra generazione. Ancora me la ricordo la fierezza con cui scartando uno Yo-Yo Motta ci ha annunciato, a noi bambine estrogeno-depresse, che lei era diventata donna. Arrivava a malapena al metro e 12, la Marta. E nel momento stesso in cui ce ne ha parlato, ci siamo accorte che le erano spuntate due tette dritte, dure e appuntite che sotto la maglietta sembrava si fosse infilata due matitoni. Ed ecco che ci svela un altro segreto. “Sapete poi cosa mi è già venuta?” Sussurra la Marta. “La cellulite”. Dichiara. Le mandibole di tutte le altre bambine cadono in un “oh!” di stupore misto a tragedia. L’unica a non capire? Io. Che cerco un qualche legame con le cellule che stavamo studiando in scienze. Mi aveva spaventato più la parola Citoplasma, invece il problema era la cellulite. O cellulosa? Taccio. “Dove ti è venuta?” Chiede la Melanie. “Sulle cosce”. Dice la Marta. Le bocche intorno a me si spalancano ancora di più, inspirano tutte insieme così forte che a momenti tolgono tutto l’ossigeno dalla stanza. In ritardo di un paio di secondi, seguo il gruppo e, per non sembrare scema, aspiro anche io. Nella mia testa, i criceti che fanno girare la ruota dei miei collegamenti sinaptici, estraggono un documento su cui c’è la ricerca fatta pochi giorni prima in cui studiamo com’è fatta la cellula, quindi presumo che la cellulite sia una malattia per cui… una malattia per cui? Boh. Le nostre cellule impazziscono e anziché rotonde diventano a forma di… A forma di? Rombi? Di bignè? Di ananas?
Che cazzo è la cellulite? Eppure le mie compagne sembravano tutte sapere esattamente di cosa si stesse parlando e allora stavo zitta. Passano gli anni, il tempo di dimenticare quella conversazione e quando arriva questo ciclo, prendo coraggio e affronto l’argomento C E L L U L I T E con mia cugina, appena 18enne. Quando gliela nomino ha un malore. “Lascia stare! Ho le gambe che sembrano due prosciutti stagionati male!” Mi dice. “Quindi è una cosa brutta!” Chiedo. Va beh, sembra una domanda sciocca.“È la cosa più brutta che possa capitare a una donna”. Sentenzia. Si abbassa le collant e mi mostra il danno. Mia cugina. 18 anni. Un fiore con le ortiche sulle cosce. Turbata da queste informazioni, come un condannato a morte, torno a casa e attendo. Attendo che arrivi anche a me. Mi finisce il primo ciclo e penso “ecco, adesso arriverà anche a me la cellulite”. Ma niente! Passano gli anni, sul mio corpo si aggiungono chili, si tolgono, compaiono smagliature che ripropongono sui fianchi e sul seno la cartografia completa di tutti i fiumi nordeuropei, la mia pancia diventa molle, poi piatta, poi gonfia. Ma le gambe, niente. Un’opera d’arte di compattezza e liscezza. L’invidia delle mie amiche. Ero una sopravvissuta, capite? Uno di quei casi rari di genetica mista a culo in cui per una strana coincidenza planetaria ero completamente priva di cellulite. Attenzione però, il mio di dietro è piatto, inespressivo e sembra che mi sia passato sopra un rullo compressore, un po’ come succede a Wile E. Coyote, ma cellulite zero. L’unica buccia d’arancia che conoscevo era quella dentro il Montenegro col ghiaccio che si beveva mio nonno. In spiaggia, però, anziché essere motivo di orgoglio, mi provocava quasi disagio, perché appena tolto il pareo, gli sguardi delle donne finivano inevitabilmente sulle mie chiappe. “Ah! Ma non hai la cellulite!” E mi sentivo di dover giustificare questo fatto, come se in fondo fosse colpa mia. “Sì ma non faccio niente per curarla, eh!” “Bastarda…” Sentii mugugnare dalle vicine d’ombrellone, e solo in quel momento mi resi conto di essere circondata da donne insabbiate, che avevano chiesto ai bambini sulla spiaggia di fare buche profonde, con la scusa di tenerli impegnati, nascondevano il nascondibile. Imbarazzata, allora aggiungevo: “Però in compenso ho il culo piatto” e mi giravo per mostrarglielo. Questo sembrava pareggiare i conti, e così, un po’ più sollevate, ci si buttava tutte in acqua, correndo velocissime dalla buca all’acqua fonda, correndo all’indietro come i gamberi, così sapete, occhio non vede, coscia non duole. Nei 20 anni successivi in me è cresciuto uno strano senso di onnipotenza per via di queste gambe toniche, capitemi. E così, qualche giorno fa, quando mi sono trovata a fare il mio primo servizio fotografico, non ho esitato. “Metto una coulotte bianca e una sottoveste!” Dico alla stylist. “Sei sicura, con le gambe nude?” Mi chiede a bassa voce per non farsi sentire dal resto della troupe. “Ma certo, qual è il problema?” Rispondo splendida splendente. Mi preparo, prendo i miei due bambini in braccio, raggiungo Giamma già posizionato sul limbo bianco, mi accomodo sulla poltrona sotto i riflettori. Accavallo le gambe. La fotografa di fronte a me sgrana gli occhi. “Tranquilla, tesoro! Tanto c’è Photoshop” Mi grida da dietro l’obiettivo. Abbasso lo sguardo. La vedo. Mi sento svenire. Fanculo Photoshop, datemi subito dei pantaloni. Possibilmente dei jeans. Possibilmente da sci. Anzi, datemi un piumone, un tendone da Circo. Anzi. Datemi tempo. Perché arrivo sempre in ritardo su tutto, sono d’accordo sull’accettazione di sé, ma cazzo, ho la cellulite da 5 minuti. Datemi tempo per elaborare. E lasciate sbagliare anche me, che ho già prosciugato il plafond della carta di credito di Giamma comprando una quantità tale di alghe, fanghi, foglie di betulle, piantagioni di caffé… che oltre a non risolvermi il problema della cellulite, mi faranno ritenere responsabile della desertificazione terrestre. Intanto, tutte assieme, leggiamoci questo libro. Con amore (e buccia d’arancia).